UN PO' DI STORIA...

Il Centro Salesiano San Domenico Savio è nato nel 1955. Su suggerimento del Cardinal Montini, arcivescovo di Milano, il Prefetto della città ha affidato ai Salesiani la gestione del Carcere Minorile di Arese. Da allora il sistema preventivo di don Bosco è diventato la linea guida del progetto educativo fondato su ragione, religione e amorevolezza per oltre mille ragazzi che sono stati accolti nella struttura e hanno frequentato i corsi di avviamento professionale e la scuola media. Essi provenivano da famiglie povere, da contesti sociali a rischio di emarginazione e di devianza. Per tanti di loro la famiglia salesiana è stata l’unico luogo di affetto, di attenzione e di cura. Per altri è stato il cammino che li ha preparati al futuro, al mondo del lavoro, alla maturità. Nel corso degli anni molti laici educatori hanno affiancato i Salesiani nell’offrire insieme ad un lavoro da imparare la gioia dello stare insieme, la bellezza del gioco in cortile, la speranza di una mano che aiuta e lo sguardo che scorge il “buono” nell’altro. Che fossero in comunità o ad imparare un mestiere i ragazzi vivevano intense esperienze educative, in Valle Formazza, in alta montagna o ad Arese su di un palcoscenico, alle “giornate dell’amicizia” a riflettere della loro vita o sul campo di calcio a vincere la partita.

Negli anni Ottanta poche altre istituzioni potevano offrire, sul territorio, educazione e formazione in un’unica struttura. Sul finire degli anni Novanta, in linea con le tendenze socio pedagogiche dell’epoca, le normative nazionali esortavano gli istituti educativi a trasformarsi in comunità alloggio, prevedendo strutture d’accoglienza meno collegiali e più familiari, meno numerose e più rispondenti ai bisogni del tessuto sociale più fragile. Il Centro Salesiano si è dotato di sette comunità alloggio che potevano ospitare fino a 68 ragazzi. Negli anni precedenti il numero di utenti era più del doppio e le attività di gruppo prevalevano su quelle personali e specifiche. Con le comunità educative si è stati indotti a ripensare il progetto educativo e il patto tra educatore ed educando. Il ruolo delle famiglie di provenienza, ora più presenti, hanno indicato la necessità di un supporto ducativo anche ad esse ed un attenzione maggiore all’ambiente da cui provenivano gli utenti. I Salesiani hanno modificato le strutture a servizio dei ragazzi per rendere le camerate comunità educative, pur consapevoli che rimanevano inserite in un contesto istituzionale più vasto, più variegato e, oltretutto, più complesso che alle origini.

I progetti educativi di lungo periodo che coinvolgevano pezzi di vita significativi dei ragazzi dalla preadolescenza all’età adulta, hanno lasciato il posto a sguardi educativi più flessibili perché legati al raggiungimento di un traguardo scolastico o per un allontanamento temporaneo da una situazione di disagio, a volte per l’opposizione o l’ambivalenza della famiglia rispetto al cammino. In questo periodo storico in cui il tessuto sociale giovanile vive le contraddizioni del mondo moderno adulto e ne amplifica le povertà, in cui la società multietnica deve fare i conti con l’egoismo della globalizzazione e le istituzione faticano a dare risposte efficaci alle nuove richieste di aiuto, diventa fondamentale essere propositivi e non farsi da parte nella sfida educativa verso i giovani ed il disagio che esprimono. Si vuole esprimere un rinnovato impegno di accoglienza verso i giovani più bisognosi, con l’intento di aiutarli a recuperare fiducia in sé stessi, valorizzandone le potenzialità e accompagnandoli nel percorso di crescita verso la gestione responsabile di sé e verso l’autonomia. Il modello di riferimento nella definizione del servizio va nella direzione del “welfare generativo”, un welfare orientato alla rigenerazione della persona, e non alla assistenza, al “prendersi cura” e non solo “curare”.